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Testo della predicazione: I Corinzi 1,18-25

La predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio; infatti sta scritto: «Io farò perire la sapienza dei saggi
e annienterò l'intelligenza degli intelligenti». Dov'è il sapiente? Dov'è lo scriba? Dov'è il contestatore di questo secolo? Non ha forse Dio reso pazza la sapienza di questo mondo? Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione. I Giudei infatti chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia; 24 ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, il brano biblico che l’apostolo Paolo scrive e che abbiamo ascoltato è un discorso di rottura, un forte testo di contestazione. A noi possono suonare ovvie le parole di Paolo: «Noi predichiamo Cristo crocifisso». Ma l’apostolo vuole richiamare i credenti di Corinto a non predicare più su altre fantasie e personaggi illustri perché solo Cristo è stato crocifisso per noi e non un altro.

L’apostolo parla della fatto che la fede nel Cristo crocifisso è centrale e i credenti di Corinto avevano perso questa centralità. L’apostolo è molto pungente nel cercare di frantumare una immagine di Dio distorta; egli vuole Paolo ricollocare la croce al suo posto, da dove è stata tolta via.

Perché tutto questo? Cos’era successo in quella chiesa?

Nella chiesa di Corinto vi erano divisioni, alcuni si schieravano con la teologia di un predicatore di nome Apollo, altri con quella di Cefa, l’apostolo Pietro, altri ancora con Paolo stesso. L’apostolo ricorda invece che la fede non si fonda né sulla teologia di uno, né sulla filosofia di un altro, né sulla scienza, né su qualche persona, spirituale per quanto possa essere.

Una parte dei credenti di Corinto fondava la propria fede nei miracoli: Dio c’è solo dove interviene con opere potenti, e non c’è dove non ci sono miracoli. «Dio ha fatto questa guarigione, vedete? Vuol dire che è dalla nostra parte».

Altri credenti si stupivano davanti a tale ingenuità e fondavano il loro cristianesimo su tesi filosofiche che spostavano la fede nell’ambito della ragione.

Paolo mette scompiglio sulle tesi dei due gruppi perché nessuno di loro sentiva il bisogno di credere e annunciare che Cristo era morto sulla croce.

Per l’apostolo Paolo, l’annuncio dell’Evangelo parte da un fondamento certo: Cristo che è stato crocifisso. Annunciare altro significava annunciare un cristo diverso, non quello che Dio aveva mandato e nel quale, Dio si era donato all’umanità.

Domenica, 19 Giugno 2016 15:57

Sermone di domenica 19 giugno 2016

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Testo della predicazione: Esodo 33,18-23

Mosè disse: «Ti prego, fammi vedere la tua gloria!» Il Signore gli rispose: «Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà, proclamerò il nome del Signore davanti a te; farò grazia a chi vorrò fare grazia e avrò pietà di chi vorrò avere pietà». Disse ancora: «Tu non puoi vedere il mio volto, perché l'uomo non può vedermi e vivere». E il Signore disse: «Ecco qui un luogo vicino a me; tu starai su quel masso; mentre passerà la mia gloria, io ti metterò in una buca del masso, e ti coprirò con la mia mano finché io sia passato; poi ritirerò la mano e mi vedrai da dietro; ma il mio volto non si può vedere.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, un filosofo francese degli anni ’60 scriveva che “senza viso non si è”; non si è nei confronti della società, del mondo, nei confronti di tutti, perché senza viso non si può mostrare la propria identità, il proprio umore, i propri pensieri, non si potrebbero instaurare dialoghi, rapporti, e questo in effetti è, in alcune popolazioni, il senso del coprirsi il viso, in particolare da parte delle donne: significa rinunciare a instaurare rapporti, a costruire dialoghi, confronti, amicizie; significa mantenere distanza, restare anonimi, impersonali, senza nome. Senza il viso non c’è sorriso, pianto, gioia, dolore che possano essere condivisi.

Nella Bibbia ci aspetteremmo che la richiesta di Mosè di vedere il viso del Signore sia presto esaudita, invece Dio dice: «chi vede il mio viso non può vivere, muore». Perché Dio si nega?

A questo punto, facciamo un passo indietro per notare che il nostro brano è preceduto dall’episodio nel quale Israele si costruisce un vitello d’oro da adorare, da riconoscere come dio con un suo corpo e un volto. E questo succede proprio mentre Dio si rivela a Mosè come un Dio che parla, che parla di libertà attraverso le dieci parole scritte sulle tavole.

Il popolo non vuole sentire il cuore di Dio, il suo amore che si rivela nella sua Parola, il popolo vuole vedere e toccare e sentirsi appagato da una superficialità scandalosa e scellerata.

Vedere e toccare esclude la proposta di una scelta di fede o di non-fede; il popolo non vuole andare oltre il primo sguardo, vuole solo una verità lapidaria costituita da una immagine che non ti pone alcun dubbio perché è evidente, nessuna ricerca, nessun approfondimento, nessuna necessità di andare oltre, di scrutare, di incuriosirsi: qui non c’è libertà di scelta, libertà di coscienza, ma c’è solo l’evidenza dei fatti costituita da una immagine, che sia artefatta o no, finta o simulata, l’importante è fermarsi lì, non andare oltre, non indagare.

Testo della predicazione: Marco 10,13-16

Divenne sera e Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all'altra riva». I discepoli, congedata la folla, lo presero, così com'era, nella barca. C'erano delle altre barche con lui. Ed ecco levarsi una gran bufera di vento che gettava le onde nella barca, tanto che questa già si riempiva. Egli stava dormendo sul guanciale a poppa. I discepoli lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che noi moriamo?» Egli, svegliatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!» Il vento cessò e si fece gran bonaccia. Egli disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, sebbene l’evangelista Marco ci voglia narrare il racconto della tempesta sedata, tuttavia, egli indugia in particolari che, a prima vista, sembrano insignificanti.

Innanzitutto un’informazione: «Divenne sera». Quando si fa sera le nostre faccende del giorno devono concludersi: è buio, siamo stanchi. La sera avverte che sta per arrivare la notte, l’oscurità, che è anche sinonimo di paura, di timore, di apprensione; la notte rivela tutta la nostra fragilità: l’impossibilità di affrontare qualcosa che non vediamo perché è buio; la notte rivela tutta la nostra impotenza, rivela le nostre paure.

L’evangelista ci vuole dire che i discepoli devono affrontare la tempesta quando è già buio nella loro anima, nel momento più alto della loro vulnerabilità.

Divenne sera, quindi Gesù congeda le persone che si erano fermate per ascoltare la sua predicazione e dice ai suoi discepoli in procinto di affrontare la notte: «Passiamo all’altra riva».

Gesù avrebbe potuto dire: «Troviamo un posto sicuro dove passare la notte». Invece Gesù chiede ai discepoli di affrontare la notte, chiede che accada un cambiamento nell’anima e nel cuore dei suoi discepoli. Gesù chiede di fare rotta verso altre mete piuttosto che rinchiudersi dentro le proprie sicurezze, chiede ai discepoli di prendere un’altra direzione, di cambiare progetti, di cambiare piani.

Testo della predicazione: I Giovanni 4,16b-21

«Noi abbiamo conosciuto l'amore che Dio ha per noi, e vi abbiamo creduto. Dio è amore; e chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui. In questo l'amore è reso perfetto in noi: che nel giorno del giudizio abbiamo fiducia, perché qual egli è, tali siamo anche noi in questo mondo. Nell'amore non c'è paura; anzi, l'amore perfetto caccia via la paura, perché chi ha paura teme un castigo. Quindi chi ha paura non è perfetto nell'amore. Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: «Io amo Dio», ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto. Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: che chi ama Dio ami anche suo fratello».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, l’autore della lettera di Giovanni riflette sul Dio che ci è stato annunciato da Gesù, e da questo annuncio scaturisce una definizione di Dio unica in tutta la Bibbia. Non dice come è fatto Dio, ma parla della qualità di Dio, dell’essenza di Dio, dell’essere di Dio. Dice: Dio è amore. Punto e basta. Altro non possiamo sapere sul Dio in sé.

Potremmo dire che Dio è onnipotente, onnisciente, onniveggente, tuttavia si tratta di categorie umane attribuite, in modo superlativo, a Dio. Il nostro autore biblico non si lascia ingannare dalla potenza o dalla sapienza o dalla capacità che gli umani possono, in qualche modo, possedere e poi trasferire queste qualità all’essere di Dio. Il nostro autore prova a considerare una realtà, di cui ha fatto l’esperienza, che reputa divina: è l’amore. Perché l’amore non è una realtà umana.

Per la Bibbia, l’amore è una realtà divina che irrompe nel nostro presente, nella nostra esistenza, nella nostra storia. È una realtà, attraverso la quale, Dio si rivela a noi. «Dio ha tanto amato il mondo, che ha mandato il suo unico figlio» (Gv. 3,16), vi è qui la consapevolezza che l’amore produce un movimento di Dio verso noi e di noi verso altri, da persona a persona. Si tratta di un movimento che non è fine a se stesso, perché Dio viene, in Cristo, in mezzo a noi, per farsi dono di sé. Questo è l’amore: un’azione un movimento verso l’altro/a per accoglierlo/a e donarsi a lui/lei.  

L’amore, dunque, non è semplicemente un volersi bene, non è vivere una tregua, non farsi la guerra, sopportare l’altro, tollerare chi è diverso, ma è farsi dono agli altri.

Questa è la definizione di amore nella Bibbia, non va mai interpretata in modo diverso. Il Dio che ama si dona, la persona che ama si fa dono agli altri.

Testo della predicazione: Romani 11,32-36

Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per far misericordia a tutti. Oh, profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza dì Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie! Infatti, "chi ha conosciu­to il pensiero del Signore? O chi è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì da riceverne il contraccambio?". Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen.

Sermone

     Care sorelle e cari fratelli, è un inno quello che abbiamo letto, un inno di lode! E chi sta parlando è un animo entusiasta, un animo che ha scritto con l'ardore del fuoco. Si tratta dell’apice di un discorso che l'apostolo Paolo ha iniziato alcuni capitoli prima, un discorso che comincia molto pacatamente, in modo tiepido, ma che si ravviva e prende sempre più forza, terminan­do, qui al capito 11, in una splendida poesia che scaturisce dal profondo dell’anima.

     Si tratta di un ardore senza pari che la fede ha suscitato in lui. Spesso è proprio questo entusiasmo per Dio che ci manca perché ci siamo assuefatti alla parola “misericordia”, al messaggio dell’amore di Dio; ma qui l’apostolo vuole trasmettere anche noi oggi la sua gioia incontenibile, come incontenibile è l’amore di Dio e la sua bontà.

Ma cos'è che ci può infiammare, entusiasmare, cosa ci può scio­gliere la lingua, al punto da farci cantare e scrivere poesie come l’apostolo?

     L’inno di Paolo comincia con una espressione eloquente: «Oh!». Ma cosa dobbiamo dire per far sì che quelli che ci ascolta­no, e noi stessi, arriviamo ad esclamare questo «Oh!»?

Testo della predicazione: I Corinzi 12,1-11

Circa i doni spirituali, fratelli, non voglio che siate nell'ignoranza. Voi sapete che quando eravate pagani eravate trascinati dietro agli idoli muti secondo come vi si conduceva. Perciò vi faccio sapere che nessuno, parlando per lo Spirito di Dio, dice: «Gesù è anatema!» e nessuno può dire: «Gesù è il Signore!» se non per lo Spirito Santo. Ora vi è diversità di doni, ma vi è un medesimo Spirito. Vi è diversità di ministeri, ma non v'è che un medesimo Signore. Vi è varietà di operazioni, ma non vi è che un medesimo Dio, il quale opera tutte le cose in tutti. Ora a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per il bene comune. Infatti, a uno è data, mediante lo Spirito, parola di sapienza; a un altro parola di conoscenza, secondo il medesimo Spirito; a un altro, fede, mediante il medesimo Spirito; a un altro, doni di guarigione, per mezzo del medesimo Spirito; a un altro, potenza di operare miracoli; a un altro, profezia; a un altro, il discernimento degli spiriti; a un altro, diversità di lingue e a un altro, l'interpretazione delle lingue; ma tutte queste cose le opera quell'unico e medesimo Spirito, distribuendo i doni a ciascuno in particolare come vuole.

Sermone

     Cari fratelli e sorelle, dalla parola biblica che abbiamo ascoltato, lo Spirito Santo risulta essere alla base di ogni attività e ogni testimonianza dei credenti. Senza lo Spirito nessuno può dire “Gesù è il Signore”, nessuno può pervenire alla fede, non vi è la capacità di comprendere il lieto annuncio dell’amore di Dio, c’è, infatti, troppa gratuità in quel messaggio per la nostra indole umana che ragiona in termini ricompensa, di “Do ut des”, di scambio di favori o di doni; senza l’azione dello Spirito non vi è la possibilità di esprime tale amore di Dio, tale grazia sovrabbondante, e poterla capire profondamente ed esprimerla sarebbe del tutto impossibile.

Perché?

Perché ciò di cui si parla, è altro da noi, diverso da noi, esseri umani, perché si tratta di qualcosa che ci sorpassa, qualcosa che va oltre il nostro orizzonte e i nostri limiti.

     L’apostolo Paolo che scrive alla chiesa di Corinto, spiega che solo attraverso il dono dello Spirito possiamo capire e allargare il nostro orizzonte.

Come agisce lo Spirito?

Innanzitutto crea diversità.

Testo della predicazione: Giovanni 15, 26 - 16,4

«Quando sarà venuto il Consolatore, che io vi manderò da parte del Pa­dre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli testi­monierà di me e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal princi­pio.
Io vi ho detto queste cose affinché non siate scandalizzati. Vi espelleran­no dalle sinagoghe; anzi l’ora viene che chiunque vi uccide­rà crederà di offri­re un servizio a Dio. E faranno questo perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose affinché quando sia giunta l’ora in cui avverranno, vi ricordiate che ve l’ho dette»
.

Sermone

Il brano del vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato, fa parte di un discorso che Gesù rivolge ai suoi di­scepoli. L’argomento è quello dell’«odio del mondo», verso i credenti, i cristiani dell’epoca.

Volendo, possiamo dare anche un’occhiata al contesto del nostro brano e scopriamo subito che, pochi versetti prima, Gesù contrappone a questo brano che parla di odio, l’amore: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi». Appare chiaro il dualismo di Giovanni: da una parte c’è l’amore, che tiene viva la comuni­tà dei cre­denti, e dall’altra l’odio di coloro che non credono in Cristo; da una parte la luce, dall’altra le tenebre. La luce splende nelle tenebre, così come l’amore ama in un mondo d’odio.

Eppure Gesù aveva detto: «conosceranno che siete miei discepoli se avete amore gli uni per gli altri», cioè che la testimonianza dell’a­more porterà i non credenti verso Cristo. Ma nel testo che abbiamo udito sembra invece che l’amore dei discepoli non faccia che inasprire l’odio dei non cre­denti verso la comunità dei cre­denti. Come si spiega questa contraddizione biblica?

Per capire meglio le parole di Gesù è necessario aprire uno squar­cio nella situazione della chiesa al tempo in cui l’evangelista Gio­vanni scrive. Egli ha davanti a sé una realtà concreta, una situa­zione particolare che la comunità dei credenti stava attraversando. Una situazione di persecuzione, di odio, di violenza. Certamente molto difficile da sopportare.

     «Dov’è il Regno di Dio annunziato e promesso? Dov’è quel regno di pace, di giusti­zia, di solidarietà, d’amore?», questa e altre domande simili i credenti cominciava­no a porsi! Essi attendevano che nel mondo irrompesse della pace, della felicità, della giustizia di Dio, invece incontrarono la guerra con il mondo. La fede dei più era scossa!

Testo della predicazione: Giovanni 3,1-8

C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodemo, uno dei capi dei Giudei. Egli venne di notte da Gesù, e gli disse: «Rabbì, noi sappiamo che tu sei un dottore venuto da Dio; perché nessuno può fare questi segni miracolosi che tu fai, se Dio non è con lui». Gesù gli rispose: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio». Nicodemo gli disse: «Come può un uomo nascere quando è già vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e nascere?» Gesù rispose: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato d'acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: "Bisogna che nasciate di nuovo". Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, in genere, per tutti, il buio, l’oscurità, le tenebre, sono il luogo in cui nascondersi quando riteniamo di aver agito male, quando non vogliamo che gli altri ci vedano, che pensino male di noi. Anche se il buio è qualcosa che, interiormente, ci fa paura, perché rappresenta la condizione della nostra coscienza, e dei nostri pensieri a volte molto confusi a seguito di tante domande che ci facciamo dopo una sofferenza, un dolore, un lutto, nostro o degli altri.

L’evangelista Giovanni deve avere una comprensione analoga del buio e delle tenebre, tanto che quando Giuda lascia Gesù per consegnarlo ai suoi nemici afferma: «Egli, dunque, prese il boccone, uscì subito, ed era notte». E sì, era davvero notte nell’animo di Giuda.

Un vecchio di nome Nicodemo incontra Gesù di notte. Era un capo dei Giudei, un dottore d’Israele, pare, simpatizzante di Gesù e del suo messaggio. Incontra Gesù di notte, col favore delle tenebre: certamente non voleva che nessuno, data la sua posizione, sapesse che incontrava un maestro considerato eretico da molti dei suoi amici.

Incontreremo ancora Nicodemo più avanti nello stesso Vangelo, quando difenderà Gesù di fronte ai capi dei sacerdoti e dei farisei; e lo incontreremo ancora, più avanti, intento a prendersi cura della salma di Gesù, avvolgendola in fasce e aromi, e poi della sua sepoltura insieme a Giuseppe d’Arimatea, discepolo di Gesù, ma in segreto per timore dei Giudei. Avevano senz’altro qualcosa in comune i due.

Testo della predicazione: Colossesi 3,12-17

Rivestitevi, dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di benevolenza, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza. Sopportatevi gli uni gli altri e perdonatevi a vicenda, se uno ha di che dolersi di un altro. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi. Al di sopra di tutte queste cose rivestitevi dell’amore che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati per essere un solo corpo, regni nei vostri cuori; e siate riconoscenti. La parola di Cristo abiti in voi abbondantemente; istruitevi ed esortatevi gli uni gli altri con ogni sapienza; cantate di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali. Qualunque cosa facciate, in parole o in opere, fate ogni cosa nel nome del Signore Gesù ringraziando Dio Padre per mezzo di lui.

Sermone

     Cari fratelli e sorelle, il vestito è qualcosa con cui abbiamo a che fare ogni giorno. Indossiamo vestiti comodi per stare in casa, quelli per uscire ogni giorno e andare a lavoro, il vestito per i giorni di festa. Perfino quelli che mettiamo per le occasioni speciali, per onorare un parente o un amico, o noi stessi.

    Certo, il vestito rispecchia anche il nostro carattere, la nostra sensibilità, il nostro cuore. Alle volte tradisce il nostro disagio, o il nostro sentirci bene. Esprimiamo noi stessi anche attraverso il nostro modo di vestire. Ci sono, infatti, vestiti che indossiamo volentieri e vestiti che non trovano neppure posto nel nostro armadio perché non esprimono il nostro carattere.

    L’apostolo Paolo scrive alla chiesa di Colosse e la interroga circa il suo carattere, il suo modo di esprimere la testimonianza di Gesù, e quali rapporti ha intessuto al suo interno e nella società civile. L’apostolo Paolo non nega che bisogna essere se stessi, ma è profondamente convinto che la Parola di Cristo cambia, trasforma il nostro modo di essere e di porci nei confronti degli altri.

    Tu sei credente, ed è vero che tutti sono chiamati a essere se stessi, che tutti dobbiamo essere autentici e sinceri nei rapporti con gli altri; è vero che tutti dobbiamo essere accolti e ricevuti così come siamo, ma questo non ti autorizza a essere scorbutico, scontroso, violento (anche nel linguaggio) e orso. Spesso ci si difende dicendo: «sono fatto così e non posso farci niente, almeno io le cose le dico in faccia».

Bravo/a! Viva la sincerità!

Ma come ti poni poi di fronte alle sensibilità ferite, ai buchi che hanno lasciato i tuoi proiettili verbali, alle lesioni che hanno frantumano l’anima di chi ha subito la tua sincerità?