Culto domenicale:
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Bellonatti

Archivio dei sermoni domenicali

Testo della predicazione: Apocalisse 21,1-7

Vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c’era più. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scender giù dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii una gran voce dal trono, che diceva: «Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio. Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate». E colui che siede sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose». Poi mi disse: «Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veritiere», e aggiunse: «Ogni cosa è compiuta. Io sono l’alfa e l’omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell’acqua della vita. Chi vince erediterà queste cose, io gli sarò Dio ed egli mi sarà figlio.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, l’apocalisse è un libro scritto durante le difficili persecuzioni della chiesa da parte dei romani e in particolare dell’imperatore Domiziano. Ci sono scritte parole di conforto e di consolazione per poter superare tempi difficili e duri; si poteva morire per la propria fede, solo per il fatto di essere cristiani, come accade ancora oggi, in alcune parti del mondo dove le chiese sono incendiate e i credenti uccisi.

L’autore dell’Apocalisse, allora, vede un tempo nuovo, addirittura un nuovo mondo, una nuova terra, una nuova città da abitare, una nuova città santa, Gerusalemme, un mondo dove non ci sarà più il dolore, la sofferenza, il piano e il lutto.

Per certi versi, qui ci è detto che ci sarà una fine del mondo, ma che dopo non ci sarà il nulla, ma un mondo nuovo, finalmente felice.

     Nel Medioevo si credeva che l’anno 1000 sarebbe stato il limite del tempo, oltre il quale ci sarebbe stata la fine. Tutti si preoccupavano e si domandavano: “Cosa succederà, alla fine dei tempi?” È una grande domanda che, ancora oggi, molti si pongono. Alcuni credono perfino di avere la risposta. Da sempre, in tutti i tempi e in tutte le culture, questa domanda ha suscitato angoscia e turbamento e sono state date risposte estremamente diversificate.

     Anche la Bibbia si pone la stessa domanda e ci dà una risposta: dopo la fine di questo mondo ci sarà un nuovo cielo e una nuova terra dove quelli che sono stati perseguitati e condannati ingiustamente per la loro fede vivranno felici: non ci sarà più la sofferenza, il dolore, il pianto e neppure la morte.

Testo della predicazione: Luca 17,20-24

Gesù, interrogato dai farisei sul quando verrebbe il regno di Dio, rispose loro: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi; né si dirà: “Eccolo qui”, o “eccolo là”; perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi». Disse pure ai suoi discepoli: «Verranno giorni che desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, e non lo vedrete. E vi si dirà: “Eccolo là”, o “eccolo qui”. Non andate, e non li seguite; perché com’è il lampo che balenando risplende da una estremità all’altra del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, i farisei pongono una domanda a Gesù: «Quando verrà il Regno di Dio?». Per un israelita dell'epoca, il Regno di Dio evocava immagini di pace, di libertà dall'oppressore romano, tempi di prosperità, fine della paura del nemico, fine delle malattie, dei dolori e delle sofferenze.

Possiamo dire che l'attesa bruciante di questo Regno di Dio promesso, ma che tardava a venire, produceva l'ansiosa domanda: "Quando?". Quando finirà il sopruso e la violenza, quando finirà la prepotenza e l'aggressione, la discriminazione e l'egoismo?

Tuttavia, i farisei tradiscono la loro debolezza, perché i calcoli umani sui tempi dell'azione di Dio sono del tutto futili, sono arroganti e irriverenti davanti alla sovranità di Dio. Il Regno di Dio è una promessa, ma sul quando verrà questo Regno, Gesù stesso risponde «Non spetta a voi di sapere i tempi o i momenti…» (Atti 1,6-7). Gesù si preoccupa del tempo dell’impazienza, di chi usa la Bibbia come un almanacco o un manuale di cabala per trarre informazioni e conoscere il quando, Gesù si preoccupa del fanatismo, di quella tendenza, presente anche oggi, tesa a trasformare l’attesa del Regno in un insieme di falsi allarmi e di calcoli avventati.

In realtà, i farisei chiedono a Gesù di mostrare i segni del Regno di Dio, essi cercano i segni del Regno, ma poi rifiutano l'unico vero segno disponibile: Gesù. Gesù l'ha detto chiaramente quali sono i segni di questo Regno di Dio che egli stesso è venuto a inaugurare: i ciechi vedono, i sordi sentono, gli zoppi camminano, i morti sono risuscitati e l'Evangelo è annunziato ai poveri. Sono queste le condizioni che segnano la presenza del Regno di Dio.

Testo della predicazione: Romani 3,21-28

Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la legge e i profeti: vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono - infatti non c'è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio - ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia, avendo usato tolleranza verso i peccati commessi in passato, al tempo della sua divina pazienza; e per dimostrare la sua giustizia nel tempo presente affinché egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù. Dov'è dunque il vanto? Esso è escluso. Per quale legge? Delle opere? No, ma per la legge della fede; poiché riteniamo che l'uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge

Sermone

     Care sorelle e cari fratelli, la Riforma protestante del ‘500 ha sottolineato questa parola dell’apostolo Paolo: «Siamo giustificati gratuitamente per la Grazia di Dio mediante la fede».

     La grazia è quindi il presupposto della nostra salvezza, ne è il fondamento, il fulcro attorno a cui ruota l’esistenza umana. Ma dobbiamo domandarci che cosa è questa grazia di cui parla l’apostolo! La chiesa dell’epoca, certo non escludeva la grazia di Dio, ma escludeva la gratuità della grazia di Dio. La grazia andava, dunque, comprata, anche attraverso le indulgenze.

     E tutti abbiamo bisogno della grazia perché essa è donata a chi ha subìto una condanna, ciò vuol dire che tutti siamo rinchiusi nella condanna dovuta al nostro peccato, come scrive l’apostolo Paolo: «Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza per far misericordia a tutti» (Rom. 11,32). Nessuna differenza quindi, ma tutti “uno in Cristo” (Gal. 3,28), nessuna religione, nessuna confessione religiosa, nessun peccato, nessuna condizione umana, possono diminuire la grazia di Dio.

     Per noi protestanti, la grazia è, dunque, il punto di partenza di un cammino di fede, non il punto di arri­vo, non la meta, non il nostro obiettivo. Non accade che dopo una serie di buone opere arriviamo a guadagnarci l’agognata grazia, dopo una serie di sacrifici e di rinunce riusciamo a meritarci quella grazia che ci porta in salvo. Al contrario, consapevoli che la grazia è solo un dono di Dio, che ci è data senza averla meritata, possiamo incamminarci portando i frutti che la grazia produce in noi.

     Ma com’è questa cosa, che il Paradiso non bisogna meritarlo? Che non va suda­to con duri sacrifici? Anche se umanamente funziona così per tutte le cose, la logica di Dio no, e segue criteri diversi dai nostri.

     Grazia vuol dire, appunto, dono gratuito, non meritato, perché diversamente diventa baratto, scambio, acquisto.

Testo della predicazione: Romani 14,17-19

«Il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo. Poiché chi serve Cristo in questo, è gradito a Dio e approvato dagli uomini. Cerchiamo dunque di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione».

Sermone

      Care sorelle e cari fratelli, lo scrittore Luigi Pintor, narrando un momento della lunga malattia della moglie scrisse questa considerazione:

«Non c’è,
in un intera vita,
cosa più importante da fare che chinarsi affinché l’al­tro,
cingendoti il collo,
possa rialzarsi».

      L’apostolo Paolo ha in mente questo atteggiamento del chinarsi verso l’altro/a, quando scrive questo brano e i capitoli poco precedenti. L’apostolo parla a lungo della grazia e della misericordia di Dio, ma ora ci spiega che non si tratta di sole riflessioni teologiche, ma di vere ogni giorno, nelle nostre faccende quotidiane, la misericordia. Perciò dice: «Vi esorto a trarre le conseguenze da quello che avete fin qui ascoltato».

      L’apostolo parla della pratica della misericordia, della compassione, della pietà umana, della generosità che non possono essere vissuti solo interiormente, ma condivisi con il prossimo, con la comunità dei credenti, con la società nella quale viviamo.

     L’apostolo ci indica le linee guida circa l’agire di noi credenti, sottolineando innanzitutto l’importanza dell’amore.

Testo della predicazione: 2 Timoteo 1, 7-10

Dio ci ha dato uno spirito non di timidezza, ma di forza, d'amore e di autocontrollo. Non aver dunque vergogna della testimonianza del nostro Signore, né di me, suo carcerato; ma soffri anche tu per il vangelo, sorretto dalla potenza di Dio. Egli ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall'eternità, ma che è stata ora manifestata con l'apparizione del Salvatore nostro Cristo Gesù, il quale ha distrutto la morte e ha messo in luce la vita e l'immortalità mediante il vangelo.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, il testo che abbiamo appena letto è tratto dalla seconda lettera che l'apostolo Paolo scrive al suo discepolo Timoteo.

Il contesto in cui Paolo scrive non è dei più facili. Sono gli anni da poco successivi alla morte di Gesù e all'inizio della diffusione del Vangelo, ovvero della Buona Novella. In quegli anni non di rado i cristiani, e coloro che professavano apertamente la loro fede in

Cristo Gesù, erano oggetto di feroci di persecuzioni. Lo stesso Paolo, prima della sua conversione sulla via di Damasco, faceva parte di coloro che perseguitavano, con particolare tenacia, tutti quelli che avevano abbandonato l'ebraismo e si erano convertiti al

Cristianesimo. Possiamo, infatti, leggere in Galati: «Voi avete udito quale sia stata la mia condotta nel passato, quand'ero nel giudaismo; come perseguitavo a oltranza la chiesa di

Dio, e la devastavo; e mi distinguevo [nel giudaismo più di molti coetanei] tra i miei connazionali, perché ero estremamente zelante nelle tradizioni dei miei padri».

In questo contesto, le paure e i dubbi che il giovane Timoteo si trova ad affrontare sono comprensibili, anche nel dover gestire una comunità da poco formatasi ed ancora in fase di consolidamento.

Tutta via, come questa epistola ci ricorda, Dio ci invita a non avere paura, a non essere timidi e ad essere forti. Ma la forza non basta, bisogna anche avere autocontrollo ed essere amorevoli, anche verso coloro che ci vessano e ci causano mali. Lo stesso Paolo, citando il libro dei proverbi, dice: «Se il tuo nemico ha fame dagli del pane da mangiare; se ha sete dagli dell'acqua da bere e il Signore ti ricompenserà».

Il signore ti ricompenserà… ah, la ricompensa.

Quante cose facciamo perché in fondo speriamo in una ricompensa?

Testo della predicazione: 1 Pietro 5,5c-11

«Dio resiste ai superbi ma dà grazia agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché egli vi innalzi a suo tempo; gettando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze affliggono i vostri fratelli sparsi per il mondo. Or il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, dopo che avrete sofferto per breve tempo, vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà stabilmente. A lui sia la potenza, nei secoli dei secoli. Amen».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, l’autore della lettera di Pietro scrive a dei credenti dell’Asia Minore che vivono una situazione di pericolo a causa delle persecuzioni rivolte ai cristiani del primo secolo; probabilmente quelle ordite dall’imperatore Domiziano.

Chi scrive si rivolge a questi credenti molto provati, chiedendo loro di non ribellarsi a Dio, ma di vivere umilmente quella condizione.

È difficile accettare quanto è richiesto a questi credenti che sembra siano trattati come responsabili dei pericoli che vivono e sono dunque ammoniti così: «non siate superbi piuttosto umiliatevi davanti a Dio». In effetti, anche chi ha ragione può farsi torto con la sua arroganza. E sembra che questi credenti cui è rivolta la lettera siano un po’ sdegnosi agli occhi della gente, ma anche di Dio che li rimanda indietro, perché Dio accoglie chi si presenta senza nulla pretendere, nell’umiltà e nella disponibilità al servizio e al dialogo.

In sostanza, questa lettera di Pietro vuole insegnare un modo di essere che rientra nella logica della gratuità e dell’amore di Dio; vuole insegnare ai credenti che vorrebbero abbandonare la fede a causa della violenza del mondo, di perseverare e che è sbagliato rispondere alla violenza con la violenza.

Il testo biblico comunica il messaggio che l’azione dell’amore non agisce mai con veemenza e aggressività nel confronti del persecutore, ma con la semplice e nuda nonviolenza, con la resistenza passiva, che è intelligenza e non istintività, calma non nervosismo, delicatezza non insensibilità, tatto non maleducazione. Infatti, l’amore è proposta, non imposizione, l’amore non si pone sul piano dei ricatti morali; è umiltà, non superbia, è fiducia nell’accogliere la scelta di Dio, quella di amarci, è una scelta nostra, quella di accogliere l’amore che cambia noi, e cambia l’atteggiamento attorno a noi. L’amore non può essere aggressivo, violento, geloso, pettegolo, tutto ciò rinnega l’amore, è egoismo.

Testo della predicazione: Romani 8,31-35.38-39

Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti, non ci donerà forse anche tutte le cose con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio è colui che li giustifica. Chi li condannerà? Cristo Gesù è colui che è morto e, ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per noi. Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potranno separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, l’apostolo Paolo che scrive questo brano, riflette sul senso della vita; parlare del senso della vita significa anche parlare delle prove della vita, del senso della morte di Cristo per noi e della nostra morte. L’apostolo si domanda come mai i credenti possono essere vittima delle sofferenze e del dolore del mondo.

     Perché i credenti in Cristo non sono risparmiati da quella che a noi appare una forza aggressiva e violenta, dirompente, che provoca distruzione e morte nel mondo? Perché Dio permette che esista? Perché Dio non pone fine al male con la sola forza della sua onnipotenza? Perché ha permesso Auschwitz? Perché tante persone innocenti soffrono e muoiono a causa del male nel mondo?

     L’apostolo cerca di dare un senso alla vita e alla storia dei credenti spiegando che Dio stesso è stato vittima del male del mondo, che Dio stesso ha sofferto la perdita di suo Figlio sulla croce. ¿Dov’era Dio quando Gesù moriva a causa della malvagità umana? Dio era là, sulla croce, era con il nostro Gesù, con il suo Gesù, che soffriva, che moriva, ma in questo modo ha dimostrato che esiste qualcosa di molto più grande e potente del male e della violenza del mondo: l’amore, il suo amore, per il mondo, per tutti gli esseri umani, un amore dal quale nessuno può separarci, neppure la morte stessa, dice l’apostolo.

     Il battesimo di Luca, che abbiamo celebrato oggi, ha questo significato: a Luca, Dio dice: «Io ti amo, sempre, qualunque cosa ti riservi la vita, e non ti lascerò mai solo». Il battesimo è l’atto di Dio nel quale Dio stesso ci fa una promessa: «Io mi prenderò cura di te, sempre, anche quando la violenza e il male del mondo prenderanno il sopravvento, quando l’odio, l’ostilità, l’intolleranza e il disprezzo saranno più grandi delle tue forze e della tua immaginazione, il mio amore non verrà mai meno, contaci!».

     Dov’era Dio quando accadeva la violenza cieca di Auschwitz? Era lì, ad Auschwitz, come sulla croce, che moriva con loro, con i condannati a morte. Perché?

Testo della predicazione: Efesini 5,8b-14

Comportatevi come figli di luce - poiché il frutto della luce consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità - esaminando che cosa sia gradito al Signore. Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre; piuttosto denunciatele; perché è vergognoso perfino il parlare delle cose che costoro fanno di nascosto. Ma tutte le cose, quando sono denunciate dalla luce, diventano manifeste; poiché tutto ciò che è manifesto, è luce. Per questo è detto: «Risvègliati, o tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti inonderà di luce.

Sermone

Cari fratelli e sorelle, il testo biblico della lettera agli Efesini vuole far riflettere i credenti: parla della svolta della loro vita, della conversione, parla di quello che i credenti erano prima e di quello che sono diventati dopo, per grazia di Dio.

Ma di che si tratta? Cos'erano i credenti prima di credere? E che senso può avere che diventino qualcos'altro?

L'autore della lettera agli Efesini ha le idee chiare: sostiene che, per natura, l'essere umano è portato a vivere nelle tenebre, cioè nella prigione della sua umanità, all'interno delle sue contraddizioni, dei suoi limiti, della sua parzialità. Per natura, non riesce ad andare al di là di se stesso e, se volesse riscattarsi da questa condizione con le proprie forze, non farebbe che peggiorare la sua situazione.

Tutti, infatti, abbiamo la tendenza a fare da soli, a essere indipendenti, autonomi dagli altri, la sappiamo più lunga e abbiamo più ragione degli altri: in fondo questo atteggiamento si chiama “orgoglio” che ha come presupposto il fatto di ritenersi capaci e adeguati allo scopo che vogliamo affrontare. Tuttavia, così facendo, dimostriamo solo di essere testardi e ostinati, accentuando la nostra contraddizione umana.

È come se un cieco avesse la pretesa di dirigersi, da solo, in modo disinvolto, alla conquista del mondo. Ebbene, questo è l'essere umano, per sua natura, secondo la Bibbia: un essere che da solo non ha la capacità di riscattarsi dalla sua condizione umana di peccato.

Dunque, diventa chiara la necessità dell'intervento propizio di Dio. Ma cosa accade quando Dio interviene?

Testo della predicazione: Lettera ai Romani 6,3-8

Ignorate forse che tutti noi, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. Perché se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua. Sappiamo infatti che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato e noi non serviamo più al peccato; infatti colui che è morto è libero dal peccato. Ora, se siamo morti con Cristo, crediamo pure che vivremo con lui.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, in questo brano della Bibbia, l'apostolo Paolo parla della morte e le dà un significato positivo: infatti non parla della nostra morte fisica, ma di una morte che diventa il presupposto per una vita da vivere pienamente, qui e ora, una vita che ha senso, degna di essere vissuta: questo significa, per l’apostolo, la vita eterna. Egli, quindi, parla di una morte che in realtà è nascita, culla della vita.

Ma in che senso?

Innanzitutto vediamo che Paolo mette in rapporto la morte di Gesù Cristo con la nostra morte, e parla della nostra morte non come di qualcosa che deve ancora avvenire, ma che è già avvenuta.

Quando?

L’apostolo, in sostanza, vuole parlare dell’avvenire dei credenti, del loro futuro, partendo dal passato: l'avvenire dei credenti è un cammino alla cui fine non c'è la morte, ma la risurrezione; un cammino che parte dalla morte di Gesù sulla croce, una morte che ci riguarda, che ci coinvolge, che ci fa partecipare a quell’evento in modo che anche noi possiamo dire di aver “vissuto la morte”, e che perciò ci attende è la risurrezione.

Quindi il destino dei credenti in Cristo è legato al destino di Cristo, alla sua morte e alla sua risurrezione. Questo è il fondamento della nostra fede: Dio, nonostante la nostra mancanza di fede, la nostra ribellione, ci considera morti con Cristo (perché Cristo è morto per noi) e sceglie di essere dalla nostra parte, con noi, per noi con la risurrezione di Cristo e nostra.