Testo della predicazione: Ebrei 4,14-16
«Noi abbiamo un grande sommo sacerdote che ha attraversato i cieli, Gesù, il Figlio di Dio, teniamoci saldi nella fede che professiamo. In effetti, non abbiamo un sommo sacerdote che non possa condividere le nostre debolezze, messo alla prova in ogni cosa come noi, ma senza peccato. Accostiamoci con piena fiducia, dunque, al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia per essere aiutati al momento opportuno».
Sermone
Care sorelle e cari fratelli, l’autore della lettera agli Ebrei rivolge un lungo sermone ai suoi lettori per incoraggiarli a superare le difficoltà che vivevano come credenti cristiani nella società di allora. Questo predicatore cerca di spiegare il senso autentico delle Scritture in modo non letterale, ma spirituale, per cui quelle Scritture diventano la prefigurazione di un nuovo Patto che Dio fa con l’umanità.
Si tratta di una alleanza nuova, perfetta perché non è stata compiuta con il sangue di animali sacrificati sull’altare del Tempio di Gerusalemme, ma con il sangue di Cristo, che è la Parola vivente di Dio, Dio stesso che si offre all’umanità. Si tratta di una nuova alleanza che dura per sempre: non servono, dunque, altri olocausti, altre offerte a Dio, ma è accaduto una volta per tutte che Cristo è morto sulla croce.
Questa spiegazione conforta i lettori della lettera, perché Gesù non è rimasto una vittima sacrificale, prigioniero della distruzione, della tomba, della devastazione, dell’annullamento, ma ha vinto l’insufficienza umana, la sua parzialità, il suo peccato, il suo dolore, la sua sofferenza.
Non abbiamo nulla da temere, dunque, perché siamo in buone mani. Siamo tutti partecipi della decisione di Dio di stringere con noi un patto di grazia e di salvezza, malgrado noi non lo meritassimo affatto: è solo una scelta di Dio, unilaterale.
Dio decide di essere lui l’autore della nostra salvezza, del nostro perdono e della nostra redenzione, liberandoci da tutte quelle offerte che davano solo l’illusione di meritare la grazia e il perdono di Dio che ora ci sono date come dono.
Questo brano della lettera agli Ebrei è anche stato fondamento della teologia della Riforma protestante: il “sacerdozio universale dei credenti”. Questo brano parla di Gesù come del “grande sommo sacerdote”. Il sacerdote era colui che mediava il rapporto tra gli esseri umani e Dio, era colui che rappresentava il popolo e si avvicinava a Dio in nome del popolo e gli presentava offerte; il sommo sacerdote era colui che poteva entrare nel luogo santo del Tempio, nel Sancta Sanctorum, dove erano custodite le tavole della legge di Dio, per preparare il sacrificio in occasione del giorno dell’espiazione.
Questa lettera agli Ebrei ci insegna che il ruolo di sommo sacerdote è stato assunto da Gesù che si è dato, lui stesso, come sacrificio perfetto per l’espiazione del nostro peccato. È lui la vittima sacrificale il cui valore non si esaurisce mai, è lui che ha preso il posto di tutti i sacrifici necessari per il perdono dei peccati del popolo dei credenti, è lui, Gesù, che ha preso il nostro posto sulla croce, che ha assunto la nostra morte, il nostro peccato, la nostra incapacità di fare il bene, di non arrenderci al peccato, la nostra fragilità umana. È lui che è divenuto sommo sacerdote, intermediario tra noi e Dio.
Questo significa che tutti noi assumiamo un nuovo ruolo: diventiamo tutti sacerdoti, perché ci è dato di avvicinarci a Dio e di presentarci a lui con le nostre mani vuote. Sì, Gesù ha pagato per noi, ha offerto se stesso, e ora possiamo avvicinarci a Dio con piena fiducia sapendo che riceviamo il suo perdono e la sua grazia, gratuitamente, benché immeritati.
Il nostro brano aggiunge che Gesù, essendo stato umano fino in fondo come noi, partecipa con noi, alla nostra sofferenza, alle nostre prove e difficoltà, simpatizza con noi nelle nostre debolezze.
L’autore biblico ci vuole dire che Gesù comprende perfettamente la nostra condizione umana, perché anche lui è stato umano fino in fondo e tentato come noi dalle prove della vita. La differenza con noi è che egli non ha ceduto, come noi è stato tentato, ma non ha peccato.
Questo implica due cose che voglio ribadire:
- che Gesù diventa il nostro grande sommo sacerdote attraverso il quale, liberamente, ci dà la gioia di avvicinarci a Dio, quando prima era impossibile se non attraverso un sacerdote umano e il sacrificio di doni e offerte;
- Che conosce bene la nostra natura umana fatta di debolezza e di cedimenti al peccato.
Abbiamo dunque qualcuno che ci comprende davvero, qualcuno che conosce profondamente il significato della debolezza, della fragilità e della nostra sofferenza. Possiamo perciò essere fiduciosi che Dio ci ascolta davvero, che non ci rifiuta perché indegni, ma ci accoglie e ci ascolta.
Presso di lui riceveremo sempre soccorso e grazia. Amen!